IL DON
Dal sito della Parrocchia S. Martino Vescovo attingiamo il seguente articolo:
I TRE PRIMATI FONDAMENTALI:
DELL’UOMO COME PERSONA,
DELLA SOCIETA’ COME COMUNIONE,
DEL FUTURO COME SPERANZA.

IL PRIMATO DELL’UOMO COME PERSONA
Sono tre i primati che dobbiamo coltivare se vogliamo fare spazio al futuro: dell’uomo come persona, della società come comunione, del futuro come speranza.
Anzitutto, dell’uomo come persona.
Ogni bambino che viene concepito ha il diritto, come persona, di esserci, di vivere nella dignità ricevendo un minimo di sostentamento e di cultura. La persona non è un fascio di desideri fisiologici da soddisfare, ma una misteriosa e complessa unità tra elementi fisici e spirituali che proiettano il nostro io nel mondo e verso gli altri, in una continua ricerca di relazioni sempre più feconde. C’è una preziosità in noi che è qualcosa di imprescindibile ed è data dal fatto che siamo capaci di fecondità nel generare e nel donare, ma c’è anche in noi un altro elemento di preziosità che è il fatto di essere unici. Il mondo infatti sarebbe più povero senza ciascuno di noi. Non solo, ma quando qualcuno di noi muore, muore con noi un intero universo di ricordi, di storie, di affetti e di relazioni. Essere aperti alla persona significa rispettare la sua struttura dialogica. È proprio l’assenza di relazioni vere che produce il narcisismo dell’autonomia e l’illusione di farcela senza riferimento al cielo. Il mistero dell’uomo è racchiuso nel suo essere relazione-rapporto. Nel nostro tempo notiamo due fenomeni emblematici: da un lato, le potenzialità sprigionate dai sofisticati sistemi di comunicazione di massa, che sembrano aver dato alla persona spazi pressoché infiniti di movimento culturale e di sviluppo personale; da un altro lato, però quello che abbiamo guadagnato in estensione lo abbiamo perso in profondità. Sono aumentati i contatti, ma sono diminuite le relazioni. Il mistero eccelso della Santa Trinità insegna che il “noi” viene prima dell’io. Potrei dire che ontologicamente io sono “noi”. La Chiesa cristiana, che può essere ritenuta una vera “comunità alternativa”, ha capito tutto questo e lo dimostra sia nel suo essere comunità di salvati che celebra e testimonia il Signore della vita e della storia, che promette cieli nuovi e terra nuova, sia nel suo essere, sul versante immediatamente umano, un’agenzia educativa, di socializzazione e di promozione umana. Sempre attenti al fatto che l’umano trovi la sua realizzazione nel divino. Dice infatti un proverbio orientale: quando indichi la luna con un dito, c’è sempre qualcuno che si ferma a guardare la punta del dito.
IL PRIMATO ALLA SOCIETA’ COME COMUNIONE
“Credo che il progresso della giustizia sia innanzitutto nel rendere possibile l’umanità come una grande comunità, tenuta insieme da legami di convivialità”. Ritengo sacrosante le parole del grande filosofo francese Paul Ricoeur che aveva caro il concetto di uguaglianza, perché credeva che non sarebbe stata possibile alcuna comunità in uno stato sociale degli uomini troppo disparato e con uno scarto troppo grande tra i privilegiati e i più svantaggiati.
IL PRIMATO ALLA SOCIETA’ COME COMUNIONE
“Credo che il progresso della giustizia sia innanzitutto nel rendere possibile l’umanità come una grande comunità, tenuta insieme da legami di convivialità”. Ritengo sacrosante le parole del grande filosofo francese Paul Ricoeur che aveva caro il concetto di uguaglianza, perché credeva che non sarebbe stata possibile alcuna comunità in uno stato sociale degli uomini troppo disparato e con uno scarto troppo grande tra i privilegiati e i più svantaggiati.
Le strade sono due: scegliere la conflittualità delle differenze o l’amicizia della convivenza.
Ricoeur usava l’espressione “vivere bene con e per gli altri”, manifestando in questo il progetto di una sollecitudine, ossia di un movimento di sé nel prendersi cura, sulla base di un riconoscimento che implica la nozione di reciprocità “che istituisce l’altro come simile e l’io come il simile dell’altro”. Dietro questi concetti, che non vogliono essere un semplice esercizio cerebrale, si nasconde il segreto della società come comunione. Nessuna persona ha il diritto a stare alla finestra: ognuno è impegnato secondo il dono ricevuto a servire la causa dell’umanità. È vero che l’altro, come sosteneva Sartre, si pone di fronte al nostro io delimitando la nostra libertà, ma è pur vero che proprio nell’altro ritroviamo misteriosamente il significato della nostro esistere. L’altro in sé è un evocatore di senso, è capace di generare in noi uno sguardo che va oltre le apparenze. Questo si traduce con il termine “corresponsabilità”: sentirsi chiamati all’amore reciproco e al servizio del bene comune. Il vero credente, e lo può condividere con qualsiasi persona di buona volontà, è colui che capisce che il significato più vero della libertà e renderla capace di “essere dono”. Dare senza ricevere nulla in cambio. In questo trovo anche il significato della vera politica: nessuno ha diritto di sentirsi “tutto”, sì da pensare di poter fare a meno degli altri, separandosi da loro. Siamo chiamati a custodire la comunione senza assolutizzare se stessi. Qui trovo anche il senso della parola “laicità”: la laicità non è un vuoto da riempire , ma significa partire dall’uomo. La verità dell’uomo infatti è ciò che rende vero l’umano e lo aiuta crescere e a svilupparsi e ad essere se stesso. Alessandro Meluzzi ha scritto nel suo libro “La vergogna” che l’incontro con l’altro è propedeutico all’incontro con l’Altro, cosicché il concetto di società come comunione mi apre a un orizzonte infinito dove la parola amore, tessuto connettivo della comunione, vuol dire: tu non morirai. Nella sua essenza, come può l’amore essere senza Dio? Se è comunione e non fusione, se la diversità persiste nell’unità, come potrebbe raggiungere questa comunione se non in una Presenza trascendente? È all’infinito solamente e nell’Infinito che si congiungono quelli che si amano. (continua)
IL PRIMATO DEL FUTURO COME SPERANZA
“L’eternità chiede a te, e a ognuno di questi milioni di milioni, una sola cosa: se tu hai vissuto disperato o no”. È Kierkegaard, nel suo volume LA MALATTIA IMMORTALE, a offrire questa sentenziosa affermazione.
IL PRIMATO DEL FUTURO COME SPERANZA
“L’eternità chiede a te, e a ognuno di questi milioni di milioni, una sola cosa: se tu hai vissuto disperato o no”. È Kierkegaard, nel suo volume LA MALATTIA IMMORTALE, a offrire questa sentenziosa affermazione.
E’ innegabile, dal punto di vista della scienza “spirituale”, che l’uomo ha sete di eternità, di infinito: una sete di orizzonti aperti definisce il nostro rapporto con lo spazio e il tempo.
Il cielo è la metafora di questa apertura ontologica del cuore. Chi ci dona la forza e il coraggio di sporgerci sulla trascendenza e di sognare una felicità definitiva, piena, esaustiva? Viviamo su due fronti: da un lato, la terra con il suo richiamo continuo alla “carne”, con la sua bellezza multiforme, con i suoi ritmi naturali fascinosi; dall’altro, ci sentiamo come una sorta di avamposto di fronte alla stelle (dal latino de-sidus = la distanza tra gli occhi e le stelle), davanti al dispiegarsi del mistero insondabile dell’immenso oceano galattico. Se guardiamo al pensiero moderno, scopriamo che, dal punto di vista filosofico, la parola “speranza” è stata tradotta con “progresso”. C’è un’idea che serpeggia tra i più grandi pensatori: ci potrà essere un vero progresso verso il meglio e verso un mondo finalmente buono e più vivibile, non solo attraverso la scienza, ma anche e fondamentalmente attraverso la politica. Marx ha affascinato generazioni intere (e continua a farlo oggi) attraverso il suo pensiero rivoluzionario di cui ne sa qualche cosa la Russia. Marx si è dimenticato di dire che cosa fare dopo il rovesciamento della situazione socio-politica della storia. Papa Ratzinger, nella sua enciclica sulla speranza SPE SALVI, denuncia con chiarezza il grande errore del filosofo di Treviri: ha dimenticato che l’uomo rimane sempre un uomo, con la sua libertà, con il suo libero arbitrio. Non si può ridurre l’uomo a un prodotto di condizioni economiche: non è sufficiente pensare che saranno le condizioni economiche favorevoli a salvarlo. La speranza cristiana è ben altro. Nella Bibbia La parola “sperare” spesso sta per “credere”. “Fede” e “speranza” sembrano interscambiabili, ricorda Benedetto XVI: “Il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è la comunicazione che produce fatti e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova.” (Spe Salvi, 2). Il cristianesimo non si pone contro la scienza e la tecnica, ma ritiene che da lì non può pervenire il riscatto dell’uomo, non può scaturire un futuro capace di renderlo veramente felice. L’uomo può essere salvato, ovvero può sperare, solo attraverso l’Amore, quello incondizionato, quello che abbiamo conosciuto nel volto del Figlio di Dio.
https://www.parrocchiasanmartinovescovo.it/2015/12/30/i-tre-primati-fondamentali-delluomo-come-persona-della-societa-come-comunione-del-futuro-come-speranza/
Don Matteo
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