CATECHESI AND FOOD

Un concilio per il menù!

di Marcella La Guardia

Le prime comunità cristiane prevedevano dopo la celebrazione eucaristica la condivisione del pasto ma ciò poneva non poche difficoltà!

Molti cristiani di provenienza ebraica restavano fedeli alle rigide regole della legge mosaica che prescrivevano, come già trattato in precedenti post, con chi, in che modo e di cosa cibarsi. Cosicché, come alti muri, queste regole ancora si ergevano a difesa di un'identità che fino ad allora aveva permesso ad Israele di restare, al suo interno, coeso ed, all'esterno, ben definito rispetto alle altre etnie e religioni.

Ma, la composizione del nuovo popolo di Dio esigeva adesso l'abbattimento di queste strutture che favorivano la sussistenza di una comunità nella comunità e non agevolavano certamente quei presupposti necessari alla comunione ed alla fratellanza fra tutti i membri.

Il varco aperto da Pietro e successivamente da Paolo e dagli altri apostoli era proprio l'inizio di questa demolizione che attendeva ora di essere portata a termine dall'intera Chiesa nascente. 

Ulteriore problema che si poneva, a proposito dell'alimentazione, riguardava la possibilità da parte dei gentili (pagani) convertiti al cristianesimo di poter continuare a mangiare le carni offerte agli idoli (definite idolotiti) che venivano vendute al mercato o che si trovavano sulle tavole in occasione delle feste e dei pranzi ai quali venivano invitati dai non cristiani.

Paolo aveva dedicato ben tre capitoli della prima lettera ai Corinti (1Cor 8-10) alla questione degli idolotiti e, premettendo che questi idolotiti non avevano alcuna azione contaminante perché gli idoli non esistono, l'Apostolo riteneva che ci si potesse cibare tranquillamente di tali carni. Poneva però una condizione: non scandalizzare i fratelli più deboli, cioè coloro che a fatica comprendevano la liceità di un tale comportamento. Non si poteva mettere a rischio la fede di "un fratello per il quale Cristo è morto" (1Cor 8,11).

Ma, l'intervento più importante, per coinvolgimento di "autorità", finalizzato a chiarire una volta per tutte queste problematiche, fu il Concilio di Gerusalemme che all'incirca nel 50 d.C. riunì apostoli ed anziani insieme.

Dopo un duro ed articolato confronto, dove si affrontava anche la tematica sulla necessità di circoncidere o meno i pagani convertiti al cristianesimo, si giunse ad una soluzione definitiva: i cristiani non ebrei non erano tenuti ad alcuna circoncisione ne' all'osservanza della Legge di Mosè ma dovevano astenersi dal mangiare gli idolotiti e le carni di animali soffocati (che quindi contenevano ancora il sangue, non kosher!), dal bere il sangue e dal vivere una sessualità sregolata, resistendo alle pressioni culturali che esortavano alla permissività.

I suddetti divieti alimentari adesso, però, non avevano nulla a che fare con la sacralità! Essi si rendevano, piuttosto, necessari per condividere in pace la cena del Signore e del susseguente pasto, soprattutto, in comunità cristiane come quelle di Corinto e dell'Asia minore formate da persone di origini giudaiche e non.

L'omogeneizzare le regole alimentari, nel tentativo di cercare un menù condivisibile, era prettamente in funzione della comunione fraterna nel rispetto dell'unico comandamento dell'amore.

"Colui che mangia, non disprezzi chi non mangia; colui che non mangia, non giudichi chi mangia: infatti Dio ha accolto anche lui. D’ora in poi non giudichiamoci più gli uni gli altri; piuttosto fate in modo di non essere causa di inciampo per il fratello. Io so, e ne sono persuaso nel Signore Gesù, che nulla è impuro in se stesso; ma se uno ritiene qualcosa come impuro, per lui è impuro. Ora se per un cibo il tuo fratello resta turbato, tu non ti comporti più secondo carità" (Rm 14,3.14-15).


Con il tempo scomparvero le comunità giudeo-cristiane ed il poter mangiare tutto è diventato, e lo è tuttora, rispetto alle altre religioni, una caratteristica identitaria dei cristiani.

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