La Madonna del Rosario 
nel quadro della pittrice 
Luisa Bono.


Dal periodico "Il Cammino", n. 2 del 2 maggio 2006, abbiamo tratto un interessante articolo di Alberta Samuele, redatto in occasione del restauro del dipinto in Via don Marzani, conosciuto, da tanti, come Madonna dei Glicini.


«Da tempo immemore, un'immagine sacra veglia sul nucleo storico di Borgarello. In origine Pietà ai piedi della Croce, in seguito simulacro di una Crocifissione, infine, Madonna del Rosario: comunque protagonista è Lei, la Regina del Cielo, la Madre Immacolata, il Rifugio dei Peccatori.

Il quadro attuale emerge da una cornice in pietra incisa sulla parete di un'abitazione prospiciente la piazza don Marzani e costituisce, da sempre, uno dei punti di raccolta dei fedeli durante le celebrazioni mariane, in particolare nei mesi di maggio e settembre.

Tornato al suo splendore originario, grazie al minuzioso lavoro di restauro condotto dall'autrice stessa, Luisa Bono, la Madonna dei Glicini è stata realizzata ad olio su tela nel 2001, su commissione dell'allora parroco don Severino Barbieri.

L'attenzione iniziale era di riprendere il tema funerario della Croce, già affrescato sulla parete di una cascina attigua "Corte del Crist", che un tempo costeggiava il vicolo S. Martino, poi irrimediabilmente perduta.

La forte devozione dell'autrice alla Vergine e il desiderio di elargire, come dono al paese, un'effige di immediata interpretazione, per chiunque vi si volesse porre al cospetto per un momento di preghiera, hanno infine prevalso, meritando addirittura la consacrazione da parte del Vescovo Volta.

Simboli ed allegorie impreziosiscono l'opera e si prestano a diversi approcci interpretativi.

A partire dall'anno di esecuzione, che sancisce il passaggio, non privo di continuità, tra due cruciali epoche storiche, il vecchio e il nuovo millennio.

La torre antica, che domina austera il "notturno" dalla cima di una lussureggiante collina, riluce al chiarore della mezza luna ed è sormontata da una stella mattutina, che preannuncia l'alba ed è simbolo antelucano della Regina del Cielo, come pure della Grande Madre, venerata presso antichi culti pagani.

E' a questo punto evidente il richiamo alla tradizione liturgica mariana, ossia alle litanie, alle giaculatorie e ai misteri del Rosario, benché si rievochi in parte anche la fondazione celtica del paese, con un riferimento al leggendario "Castello", delle cui vestigia (cascina "Colombina") l'autrice è ultima proprietaria.

Il restante paesaggio incarna il "nuovo", a tratti ammantato di brughiera, querce e piante comuni come il trifoglio, la malva e le margherite che rimandano, in particolare, a sante presenze nascoste, che ci accompagnano nella quotidianità, come gli angeli custodi.

Centrale è la figura della Madonna del Rosario, che accoglie sulle ginocchia, con insolita espressione pacata, il Bambino Gesù.

Essa appare seduta ai piedi di una colonna imponente, che si staglia verso l'infinito e che, sormontata da un pergolato orizzontale coronato di infiorescenze lilla, allude alla Croce, avis mundi ovvero collegamento tra Cielo e Terra.

La Croce è legno che raffigura l'Albero della Vita, attorno al quale si attorcigliano i tralci di un glicine (fiore di primavera, dunque promessa di maternità) e di una vite (frutto, dunque compimento di nuova vita) sagomando un virtuale 8, emblema di infinito.

La croce è intesa, inoltre, come vecchio tronco che germina, sprigionando due energie cosmiche positive: la gioia rappresentata dal glicine, da un lato, e la fatica, il lavoro richiesto dalla vite, dall'altro (dice il Vangelo: "Io sono la vite, voi i tralci").

La notte è squarciata da un tripudio di luce, che origina da una colomba adagiata sul pergolato, a simbolo della Grazia dello Spirito Santo.

Il bagliore effonde, quindi, per mezzo di una seconda colomba, foriera di Annunciazione come l'Arcangelo Gabriele, ed investe dall'alto la Vergine, avvolgendola come un velo diafano, che ricopre carezzevole il Bambino Sovrano del Mondo, già eretto in piedi e con le mani disposte a benedire.

Il manto di luce si proietta quindi verso il vaso che la Vergine sostiene con il braccio sinistro, scorrendo placido come Acqua Viva in direzione dei fedeli, senza lasciare che l'assorba un groviglio di radici secche e contorte, che serpeggia, offensivo e ripugnante come il Maligno, ai piedi della Madre di Dio.

Altre due figure alate e candide intercettano il percorso luminoso della Grazia: una terza colomba con le ali dispiegate, che fronteggia il Male (Arcangelo Michele) tra gli sterpi, ed una quarta che si abbevera di "Acqua di Salvezza", rimandando alle guarigioni fisiche e spirituali operate dall'arcangelo Raffaele.

Sovviene un rapido cenno anche alle vicende del Santo Graal e all'antica medicina officinale.

Un arbusto di rosa canina, per anni infruttuoso nella realtà dell'autrice e tornato provvidenzialmente a germogliare durante l'esecuzione del quadro, espone, alla destra della Vergine, tra boccioli bianchi e un unico fiore maturo.

Immediato il rimando alle litanie "Rosa Mystica" e "Regina Angelorum" come tributo alla Madonna circondata dai tre Arcangeli, mentre i Cherubini assumono le sembianze, in primo piano, di capolini e fiori gialli, punti di luce e spiriti raggianti tra sassi aridi dell'umanità.

A fronte di una tradizione per la quale l'abito della Vergine è solitamente raffigurato in rosso o rosa (simbolo di umanità) e ricoperto di un velo blu o azzurro (simbolo di divinità), nella Madonna dei Glicini predomina il lilla, come se umanità e divinità si compenetrassero l'un l'altra, sfumandosi per effetto della fusione cromatica.

Alla base del quadro è rappresentata una serie di gradini in mattoni, poggiati direttamente sul suolo "dei fedeli", con iscrizioni inneggianti alla Regina Sacratissimi Rosarii.
Alberta C.»

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