L’aborto: la realtà di un equivoco ideologico.

Il tema dell'aborto è poco trattato dai media, l'opinione pubblica lo ritiene un diritto acquisito e spesso attacca con ferocia le iniziative intraprese dalle associazioni pro-life cattoliche come atti di bigottismo, che mirano a destabilizzare le libertà individuali.

In questi giorni, in occasione della canonizzazione di Paolo VI si è parlato molto dell'Humanae Vitae (25 luglio 1968), l'enciclica con la quale l'allora pontefice condannò l'aborto e tutti gli strumenti utilizzati per il controllo delle nascite.

Il suo successore, Giovanni Paolo II, espresse con altrettanta forza questa condanna nell'enciclica Evangelium Vitae, nella quale specifica che “l'aborto procurato è l'uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita”.

Queste parole risuonano potenti ai nostri orecchi, a volte frastornati dai rumori delle propagande post-moderne che rivendicano diritti e libertà fondati su equivoci e ideologie.

Madre Teresa, durante il discorso in occasione dell'assegnazione del nobel per la pace, sottolineò come la morte di milioni di bambini abortiti, sia un abominio che l'umanità dovrebbe condannare, domandandosi come una madre che uccide il proprio figlio possa provare amore per il prossimo.

Una profonda riflessione su questi temi è necessaria, per ricreare quella consapevolezza interiore di amore per la vita che appartiene ad ogni uomo che, come ripete S. Paolo VI, non può essere arbitro dell'azione creatrice di Dio, ma cooperare ad essa nella sua esistenza.

Nel pensiero comune, l'aborto è una cura (terapeutico), una soluzione, una decisione che risolve un problema.

L'equivoco sul linguaggio, mira a “diluire” i significati, per attenuare il senso di responsabilità e ad imprimere un carattere positivo a concetti di per sé negativi; è un modo per distogliere l'attenzione dalla realtà di un gesto.

Riabituiamoci a domandarci quale sia il significato delle parole che usiamo, impariamo a riconsiderare, con sano realismo, il contesto nel quale ci troviamo.

Cos'è una terapia? Cos'è una soluzione? In cosa consiste la libertà?

Ma soprattutto, qual è il presupposto che fonda il mio diritto di decidere su una vita nascente?

Il diritto, anche in materia giuridica, costituisce una tutela, mai una condanna.

La morale cristiana ribadisce con chiarezza l'importanza del corretto esercizio della propria libertà, consapevolezza, responsabilità.
Ogni uomo è tanto libero, quanto più riesce a far crescere e condividere il valore e il senso della sua esistenza.

Optare per un sì o per un no alla vita è una contraddizione in termini: noi siamo voluti da Dio, esprimiamo la vita, e proprio per questo non possiamo consegnare ad una legge la decisione su un bene tanto prezioso.

Un bambino mai nato è un bambino nato nei desideri della madre, nato nei sogni e presente nei suoi gesti, nei suoi sguardi; è un essere che già instaura relazione e genera uno spazio interiore e mentale che dispone la madre ad accoglierlo.

In psicologia questo bambino si chiama “bambino immaginario”, che alla nascita si tradurrà nel “bambino in carne ed ossa”; questi, non sempre gli corrisponderà, ma risponderà a quel desiderio che lo ha accompagnato dalla sua comparsa nell'utero della madre.

Il cuore di un feto si può ascoltare dal sedicesimo giorno dal concepimento, biologicamente si tratta di un essere umano: esprime una totalità in sé.

Il 30 novembre prossimo, presso la Casa del Giovane di Pavia, si svolgerà un incontro, rivolto in particolare ai giovani, in cui Gianna Jassen offrirà la sua testimonianza.

Gianna è una donna di 41 anni soppravvissuta ad un aborto salino, una pratica che prevede l'iniezione di sale nell'utero materno, che viene inghiottito dal bambino e provoca bruciature mortali dentro e fuori con conseguente nascita esanime dopo 24 ore.

Sua madre aveva 17 anni quando ha deciso di abortire ed era al settimo mese di gravidanza.

Riporto un breve passaggio di una sua intervista pubblicata su Avvenire nel 2016:


“Negli Usa in alcuni Stati puoi abortire fino al nono mese, ma puoi sempre recarti in un altro e fare ciò che vuoi. Persino al momento della nascita accade che il bambino venga fatto uscire tranne la testolina: si pratica un taglio nel retro del collo e si estrae il cervello. La mia madre biologica si rivolse alla principale clinica abortista americana, la Planned Parenthood, che fattura milioni di dollari l’anno. Io rimasi nella soluzione salina per 18 ore, ma non furono sufficienti a bruciarmi tutta, e nacqui viva. Capita rarissimamente, e allora si dà al bambino un farmaco che gli ferma il cuore, o nei casi peggiori lo si lascia lì a morire o lo si soffoca. Per fortuna nacqui quando il medico del mio aborto era andato a casa a dormire: erano le 6 del mattino del 6 aprile 1977. Un’infermiera chiamò l’ambulanza e mi soccorsero. Non sono una vittima, sono quella che ha vinto (ride). E la migliore rivincita è che poi quando il medico è arrivato ha dovuto firmare il mio atto di nascita”.

Spero partecipino tanti giovani, ma soprattutto spero che noi adulti, figli degli anni '70 e '80, ci rimettiamo in ascolto di coloro che incontriamo e di noi stessi, risvegliando quella capacità di osservare il mondo con il nostro sguardo più sincero.

Loredana 




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